Sviluppo industriale europeo Cap 10 Bianchi, Labory.

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Sviluppo industriale europeo Cap 10 Bianchi, Labory

Attualmente la p i in Europa è indirizzata a favorire la competitività dell’industria attraverso la correzione dei fallimenti del mercato, il cambiamento strutturale e il sostegno dei nuovi settori. Tale politica è definita nel Trattato di Lisbona (firmato nel 2000) che si poneva l’obiettivo di fare dell’U E entro il 2010 “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo.”

Tale obiettivo si può raggiungere agendo sul piano normativo (antitrust, regolamentazione), o con misure di micropolitica industriale (finanziamenti alla ricerca e all’innovazione), o a livello nazionale con programmi di riforma adottati dai singoli paesi. Analizzeremo due tipi di politiche: la politica per l’innovazione e la politica per le Pmi.

Politica per l’innovazione Negli anni ’90 le politiche tecnologiche della Comunità si sono orientate a costruire reti di relazione tra le imprese europee (networking). Networking significa indurre le imprese europee a cooperare in materia di ricerca e sviluppo, generando risultati superiori alla somma delle attività dei singoli. I modelli di aggregazione sono simili a quelli che si ritrovano nei distretti italiani (e giapponesi).

La politica comunitaria per le piccole e medie imprese. Una azione particolarmente rilevante della C.E. riguarda le azioni a favore delle Pmi. A questo settore è stato applicato, fin dagli anni ’80, un nuovo approccio basato sullo sviluppo della cooperazione e di un ambiente locale favorevole alla crescita.

Queste politiche risultano fondamentali per lo sviluppo delle aree meno favorite, dove non esistono grandi imprese capaci di sviluppare un indotto di piccole imprese subfornitrici, né vi sono servizi diffusi in grado di sostenere lo sviluppo autonomo di forze produttive endogene. Nel 1986 è stata istituita presso la Commissione la Task Force “Piccole imprese” il cui compito era di coordinare le attività inerenti le piccole e medie imprese.

Compito della T F era: Coordinare le attività della Commissione inerenti le piccole e medie imprese. Promuovere un avvicinamento tra legislazioni nazionali e politiche comunitarie. Stabilire legami tra le organizzazioni rappresentative delle imprese. Avviare politiche comunitarie di intervento integrato.

La politica comunitaria si è così articolata su 4 linee: Promozione delle attività delle Pmi Sviluppo delle relazioni tra Pmi Finanziamento attraverso prestiti e aiuti Informazione sui diversi aspetti delle attività industriali e commerciali Questa politica utilizza una varietà di strumenti e si basa sulla necessità di non limitare l’azione alle singole imprese, ma di agire sulle relazioni tra le stesse per creare le condizioni locali di sviluppo.

Questa impostazione viene recepita anche nel Trattato di Maastricht (art. 130) dove si evidenzia che le politiche industriali devono promuovere un ambiente favorevole all’iniziativa e allo sviluppo delle imprese, con riferimento soprattutto alle Pmi. La politica industriale non è più quindi un’azione a sostegno di imprese marginali ma una vasta azione volta a creare network settoriali per superare l’isolamento delle imprese minori.

Dal 2000 varie azioni sono state adottate a favore delle Pmi. Nella Carta europea delle Pmi adottata nel 2000 vengono definiti 10 principi generali che devono essere seguiti nella definizione delle politiche per le Pmi: 1. Istruzione e formazione dell’imprenditorialità. 2. Start –up di Pmi più veloce e meno costoso. 3. Quadro normativo migliore. 4. Offerta di competenze.

5. Accesso on line migliore. 6. Imposte e finanziamenti. 7. Benefici dal mercato unico. 8. Capacità tecnologica. 9. Benchmarking tra i paesi membri. 10. Rappresentazione degli interessi delle Pmi a livello europeo.

In tutti i programmi comunitari (politiche strutturali, di integrazione, diffusione dell’innovazione) emerge il ruolo di promozione delle Pmi come base di uno sviluppo basato sul territorio, come strumento per la creazione di reti di relazione basate sul territorio. Infatti un sistema di Pmi può crescere se esistono esternalità positive e per questo diviene sempre più importante anche la presenza di politiche sociali, educative e di politiche per lo sviluppo delle risorse umane come parte essenziale di una moderna visione di politica industriale.

Osservazioni conclusive Si possono delineare due fasi: La prima dalla fine della Seconda guerra mondiale fino al crollo dell’Unione sovietica e l’avvio di una nuova fase di integrazione europea. Gli anni più recenti di grande ampliamento del processo di integrazione e l’avvento della globalizzazione. (caratterizzati anche dalla crisi finanziaria esplosa negli USA nel 2007).

Il passaggio verso l’Unione economica ha posto il problema del metodo di integrazione: esistono due vie, la prima anteponeva la realizzazione del mercato unico alla costruzione di istituzioni comuni. La seconda poneva la necessità di esplicitare che il mercato è già una costruzione istituzionale, che deve rispondere a obiettivi sociali.

La via europea, ispirata dall’esperienza tedesca, è orientata a ricercare il significato sociale dell’economia di mercato, ricercando quindi anche condizioni di equità e stabilità. Cioè l’azione del mercato doveva essere rivolta non solo ad aumentare la sua estensione, ma anche a regolare il potere di mercato dei leader già esistenti e a favorire l’aggiustamento strutturale, per andare oltre le consolidate organizzazioni nazionali.

Le politiche industriali per l’integrazione riguardano: Politiche per aumentare l’estensione del mercato. Per regolare il potere di mercato. Per favorire una più efficiente divisione del lavoro, quindi maggiore specializzazione e complementarietà tra attività industriali, sia su base locale che europea.

L’insieme delle azioni sono indirizzate ad accelerare il mutamento strutturale. Come sostiene A. Smith il mercato è una costruzione sociale che funziona tanto meglio quanto più alto è il numero di coloro che sono in grado di parteciparvi. Smith sostiene che in un piccolo villaggio il numero ristretto di individui limita la possibilità di specializzazione, che si può articolare al meglio solo in una comunità più numerosa.

In questo senso una politica di integrazione richiede politiche industriali per sostenere il processo di trasformazione strutturale in corso, ricreando continuamente coalizioni progressive a favore dell’apertura. Non si tratta quindi solo di utilizzare adeguati strumenti di politica industriale, ma soprattutto di utilizzarli in un modo nuovo privilegiando l’aspetto di integrazione tra i paesi.

L’Europa nella globalizzazione L’allargamento ai 12 nuovi paesi membri ( ) ha sollevato numerosi interrogativi di natura sia economica che politica. Dal punto di vista economico ha portato ad un aumento delle disparità nei livelli di vita all’interno dell’Unione. Dal punto di vista politico ha suscitato incertezze sulla capacità dell’Unione di adattarsi alla nuova estensione.

Questo allargamento avviene in un nuovo contesto economico e politico che definiamo globalizzazione. Dal punto di vista economico il fenomeno della globalizzazione si evidenzia chiaramente dai dati riportati dal Fondo monetario. Questi dati vedono fino al 2001 il Gdp a livello mondiale coincidere con quello dei paesi avanzati, mentre dal 2001 si apre un divario tra l’andamento del Pil dei paesi avanzati, che rallenta, e quello dei paesi emergenti che cresce a ritmi sempre più alti.

L’apertura ai nuovi paesi emergenti è sancita dal World Trade Agreement (2001) che di fatto apre il mercato mondiale dei beni e dei capitali anche a questi paesi. Il rilancio economico, trascinato dagli USA, sancisce la superiorità del “libero mercato”, che viene visto come l’unica istituzione funzionante e l’intervento pubblico e le politiche industriali escono dai termini del dibattito accademico e politico. Importante eccezione alcuni articoli pubblicati sull’International Handbook of Industrial Policy (2006)

In questo contesto si inserisce la crisi finanziaria americana, che pone a carico anche dell’Europa i costi della cattiva gestione finanziaria degli Usa e ripropone il ritorno dell’intervento pubblico come riparatore alla cattiva gestione finanziaria. Il piano di rilancio deciso dal Consiglio europeo nel 2008 a Bruxelles contiene misure per far fronte alla crisi finanziaria. Tale piano riguarda non solo misure a breve termine, ma anche investimenti in settori trainanti quali l’informazione, le comunicazioni e il settore energetico.

Queste nuove misure di politica industriale europea devono fare i conti con la crisi che è presente in vari settori produttivi (automobile) e in alcuni paesi (Spagna, Grecia, paesi dell’Est). Essa non dipende solo dalla crisi americana, ma anche dall’estensione del mercato globale che non ha trovato ancora nuove organizzazioni della produzione e delle istituzioni, adeguate al nuovo contesto.

E in questa nuova situazione l’ Europa ha probabilmente un ruolo importante da giocare, rilanciando il processo di integrazione economica (e politica) che l’ha vista protagonista in questi anni.